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L'amica della mamma

Ultimo Aggiornamento: 20/07/2005 12:51
20/07/2005 12:51
 
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Fu un agosto torrido, quell’estate. Avevo diciotto anni; io e mia madre eravamo rimaste in città per dei suoi improrogabili impegni di lavoro che però la occupavano solo alcune ore la mattina. Avendolo saputo in anticipo, aveva deciso, per tempo, di invitare a casa nostra una sua amica toscana che aveva conosciuto in una località termale dove si recava tutti gli anni per rimettersi in forma. “Ci stai ad essere nostra ospite per due settimane?”, “So che ci tenevi tanto a visitare Genova!”, le disse per telefono. Lei accettò al volo. Io, fino ad allora, l’avevo vista solo in fotografia e mi aveva colpito per il suo sguardo da maliarda e per la fluente chioma biondo-castana riccia che le incorniciava il viso. Si chiamava Carla, aveva sui trent’anni, faceva l’insegnante d’inglese e ci teneva molto al suo aspetto fisico: spendeva ogni anno un capitale in trattamenti a base di fanghi.
Andammo insieme a prenderla alla stazione e il vederla di persona fu ancora più esaltante della fotografia. Aveva un fisico slanciato e atletico. In fondo all’abitino corto e leggero che indossava troneggiavano due gambe lunghe e toniche e dall’ampia scollatura si affacciavano due seni maestosi e prepotenti: aveva un’indubbia carica di sensualità. Arrivate a casa, dopo averle fatto posare le sue cose e visitare la casa, le offrimmo una ricca colazione, dal momento che non aveva potuto farla prima. Iniziò a raccontarci del travagliato viaggio appena trascorso, quando, a un certo punto, fu interrotta da mia madre che le chiese se la sistemazione sul divano-letto del salotto fosse di suo gradimento. Io, consapevole di ciò che già mi stava frullando per la testa, mi inserii immediatamente proponendole di sistemarsi in camera mia, mentre io avrei dormito in salotto. Là, infatti, avrebbe potuto appendere agevolmente i numerosi vestiti, che si era portata dietro, nel mio capiente armadio: dopo poche insistenze accettò. Nel pomeriggio uscimmo per mostrarle la vista panoramica della città e sempre più si faceva largo nella mia mente il pensiero che … sì volevo, dovevo assolutamente vederla nuda e non avrei potuto in alcun modo farne a meno: un’autentica febbre mi stava assalendo.

La sera decidemmo di andare a vedere uno spettacolo teatrale all’aperto. Lei si vestì in modo molto sexy: un top rosso fuoco, con scollatura chiusa da nastri orizzontali che le stringevano i seni uno contro l’altro, minigonna di maglia con spacco laterale, che evidenziava i fianchi generosi, e scarpe col tacco alto che accentuavano ancora di più le sinuosità del suo corpo.

Al ritorno ci sedemmo tutte e tre in cucina a commentare lo spettacolo, poi mia madre si congedò da noi per andare a dormire e rimanemmo solo io e lei a parlare del più e del meno. Dopo circa venti minuti, guardando l’orologio, mi disse che era stanca per il viaggio e, alzatasi, mi diede la buonanotte e si avviò verso la sua stanza, che era poi la mia. Io sentii le sue scarpe tacchettare nel corridoio, quindi il cigolio della maniglia e quello della porta. Prima che tale cigolio fosse finito, mi tolsi le scarpe e mi incamminai speditamente in punta di piedi verso la sua camera. Giunta in corrispondenza della porta, rallentai il passo e, con la massima circospezione, mi accucciai e avvicinai l’occhio destro al buco della serratura. Lei era lì di fronte a me, ancora completamente vestita, che si guardava nell’ampia specchiera dell’armadio che la ritraeva in tutta la sua persona. Rispetto alla mia visuale, si trovava di profilo. Avevo insistito perché si sistemasse in camera mia perché, data la configurazione della stanza, da quella postazione si riusciva ad avere una vista ideale di chi si voleva spiare. In passato, all’età dodici anni, avevo già avuto modo di spiare una mia cugina di secondo grado, di due anni più grande di me, che, con i suoi seni turgidi adolescenziali e i glutei prominenti, aveva stuzzicato la mia curiosità; ed era stata un’esperienza molto eccitante. Ma adesso c’era Carla a due metri e mezzo da me, una donna e una donna carica di femminilità e del fascino misterioso che hanno le trentenni. Continuava a guardarsi allo specchio sorridendo, di quando in quando, e rimirandosi tutta. Io mi sentivo il cuore in gola, il mio respiro, a lungo trattenuto, era diventato affannoso e tremavo tutta per il terrore di essere scoperta, oltre che per l’eccitazione data dal pensiero di quello che stavo per vedere. Lei cominciò a struccarsi accuratamente, rimanendo sempre in quella posizione, concentrando però ora la sua attenzione solo sul viso. Quando ebbe terminato, cominciò a slacciarsi il top che era legato dietro la schiena. Allentò bene la stringa che lo chiudeva quindi, con le due braccia incrociate, ne afferrò i lembi inferiori e lo tirò verso l’alto per sfilarselo dalla testa: era arrivato il momento. Col sangue che mi pulsava forte nelle tempie, vidi i suoi maestosi seni sollevarsi quindi ricadere pesantemente, finalmente privi di orpelli, sul suo costato, rimbalzando. Erano due seni del tipo “a pera”, molto voluminosi nella parte inferiore, che scendevano fin quasi all’altezza dell’ombelico. Il loro candore, in contrasto col colore bronzeo della sua pelle scoperta, accentuava l’effetto della loro nudità. Appena si girò verso di me per posare il top, mi colpì l’originalità dei suoi capezzoli che erano molto estroflessi ed avevano la forma come di due stringhe piatte, lunghe circa un centimetro, al centro un’areola molto larga. Si guardò a lungo i seni, tirandoseli su e manipolandoseli in vario modo e alla fine sussurrò rivolta a sé stessa: “Tettona!”. Quindi, sempre guardandosi allo specchio, portò le mani dietro la schiena e abbassò la cerniera della gonna che fece poi sfilare lentamente per terra, strisciando le mani lungo le cosce. Apparvero due candide mutandine finemente ricamate. Adesso il suo interesse si rivolse alle cosce, lunghe e affusolate, che si accarezzò e massaggiò lungamente. Infine si girò di schiena, infilò i pollici nelle mutandine e cominciò ad abbassarle solo di dietro, molto lentamente, guardando ciò che appariva e commentando: “Mica male”. In effetti, erano due glutei molto sodi e tondeggianti. Se li sollevò e pizzicò un bel po’, poi si girò e finì di abbassarsi le mutandine anche sul davanti, scoprendo a poco a poco un triangolo peloso molto folto e uniforme, di grande estensione. Il commento finale fu: “Ma che bella passerona!”. Sfilatesele, raccolse le mutandine da terra, come pure la gonna, e ripose il tutto ordinatamente. Quindi ritornò davanti allo specchio, splendidamente nuda, continuando ad indossare solo le scarpe col tacco, a contemplare in lungo e in largo il suo corpo superbo come una body-builder professionale. Si guardava di fronte, poi si girava di profilo sui due lati e infine di schiena. Io ero contenta soprattutto quando si girava di profilo perché, in tal modo, riuscivo a vederla, a seconda dei casi, davanti o di dietro. Sarei rimasta lì per ore ad ammirarla, ma alla fine Carla si girò, si avvicinò al letto e prelevò la camicia da notte da sotto il cuscino, infilandosela. Fu così che mi allontanai silenziosamente dalla porta e sgattaiolai furtivamente verso il salotto. Inutile dire che passai una notte agitatissima e rovente. Ma la voglia di guardarla non si placò, anzi le sere successive ripetei il copione della prima sera, quasi assalita da una febbre che non mi dava requie. Ormai conoscevo il suo corpo a memoria e ogni sera scoprivo qualche nuovo particolare che prima mi era sfuggito: fu così, ad esempio, che individuai due piccole fossette sui glutei, terribilmente sexy.

La sera prima del giorno della sua partenza, mentre la stavo spiando, quando era ancora semi-vestita, la vidi scomparire per un attimo dalla mia visuale, quindi, improvvisamente, prima che mi potessi accorgere di niente, girò la chiave nella toppa e aprì la porta fulmineamente. Io rimasi, per un attimo, impietrita dall’evento imprevisto, come pure lei che, sorpresa di vedermi lì, spalancò gli occhi e trasalì; rimase in silenzio per un paio di secondi quindi, mentre io mi allontanavo frettolosamente, esclamò: “E tu cosa ci facevi lì?”. Ebbi solo la prontezza di dire: “Ciao, stavo andando al bagno!” e poi “Buonanotte!”. Raggiunsi il salotto e mi infilai sotto le coperte, tremante. La notte, ovviamente, non chiusi occhio, temendo che l’indomani sarebbe andata a raccontare tutto a mia madre.

Quando mi alzai, l’indomani, trovai un biglietto di mia madre che diceva che era dovuta andare fuori Genova per un impegno di lavoro, ma che sarebbe tornata nel primo pomeriggio per accompagnare Carla alla stazione. Stanca e preoccupata, andai in cucina per fare colazione, timorosa di incontrare Carla. Notai che non si era ancora alzata, ma, poco dopo essermi scaldata e versata la cioccolata, udii la porta della sua stanza cigolare. Entrò in cucina, mi salutò e si sedette come se niente fosse successo la sera prima. Mentre io bevevo la mia cioccolata, rimase in silenzio a guardarmi, quindi esordì: ”Non ti preoccupare, non dirò niente a tua madre!”, poi soggiunse: “Te la stavi facendo sotto, dì la verità!”, scoppiando in una risata sgangherata. Mi sembrava strana quella mattina, come se avesse perso i freni inibitori. Dopo essersi versata anche lei la cioccolata, notò che c’era una grossa pistola ad acqua sul frigorifero: se l’era dimenticata un bambino che abitava nel nostro caseggiato e che veniva, di tanto in tanto, a trovarci con la madre. La prese e cominciò a giocarci un po’ a vuoto fino a quando le venne l’idea di caricarla con la cioccolata. Se la spruzzò in bocca un po’ di volte, quindi la diresse verso di me e mi innaffiò la camicia da notte. Io esclamai: “Ma che fai?”, ma lei continuò, sganasciandosi dalle risate. Io, a quel punto, adirata la minacciai: “Ma la smetti!”, e poi: “Adesso se non la pianti …!”. Ma lei, continuando imperterrita e sganasciandosi ancora di più, mi rispose beffarda: ”Che fai, lo dici a tua madre?”, “Anch’io ho qualcosa da dire a tua madre!”. Io rimasi interdetta per qualche secondo, poi afferrai la mia tazza, mi alzai di scatto e andai a versagliela nella scollatura. Lei, sorpresa, cessò improvvisamente di ridere, volgendo lo sguardo sulla sua camicia zuppa. Quindi afferrò la cuccuma della cioccolata, si alzò in piedi anche lei e, dopo una mia vana difesa, ne rovesciò l’intero contenuto nella mia scollatura, bagnandomi completamente fino ai piedi. Io, furente, rimasi immobile, non sapendo cosa fare, poi, come in preda ad un raptus, aprii tutti gli sportelli della cucina e cercai freneticamente qualcosa con cui insozzarla. Vidi il barattolo della nutella, come folgorata lo afferrai, lo aprii e me ne riempii una mano per poi spalmagliela in faccia e sul petto. Lei cercò di impedirmelo afferrandomi le mani, ma io riuscii ad insozzarla per bene ugualmente. Nella foga finimmo tutte e due per terra, con io che continuavo a spalmarle addosso la nutella e lei che se la toglieva dalla faccia e la spalmava addosso a me. Alla fine, stremate, giungemmo ad una tregua. Lei restò ferma, sdraiata supina, ansimante e con l’aria sconvolta, qualche secondo, quindi si passò la lingua sulle labbra e leccò la nutella che aveva tutto intorno alla bocca commentando: ”Mmm, però buona”. Io imitai il suo esempio, ma riuscii a raccoglierne meno, visto che ero meno insozzata di lei. Fu così che Carla sollevò il busto da terra, si sbottonò la camicia e tirandosi fuori i seni grondanti nutella e cioccolata disse: ”Dai assaggia!”, “Non le hai mai ciucciate due tette al cioccolato?”. Scoppiammo a ridere tutte e due di un riso malizioso e ci avvicinammo a poco a poco l’un l’altra. Quando le fui alla distanza di un palmo, mi tuffai sui suoi seni e cominciai a ciucciarglieli morbosamente, afferrandoli da sotto con le due mani e sbattendoli l’uno contro l’altro, e quando prendevo fiato mormoravo: “Tettona!”; quindi presi a stuzzicarle i capezzoli con la lingua sempre più freneticamente. Dopo averle ripulito per bene i seni in quel modo, le dissi di alzarsi, le aprii ancora di più la scollatura lungo le spalle e le sfilai la camicia da notte dal basso. Cominciai allora a ripulirla in tutto il resto del corpo, soffermandomi particolarmente su pube, cosce e glutei che insozzai e ripulii più volte. Quando mi rialzai, sazia di tanta dolcezza, si rivolse a me dicendo: ”Adesso fatti un po’ assaggiare anche te!”, mi sfilò la camicia da notte dall’alto e mi ricambiò con gli interessi. Alla fine anche lei fu sazia e mi propose: ”Dai, adesso andiamoci a fare la doccia!”. Ci alzammo e, tenendoci abbracciate per la vita, ci avviammo in direzione del bagno. Sotto la doccia ci insaponammo e sciacquammo a vicenda, per poi baciarci appassionatamente e leccarci ancora dappertutto. Uscite dalla doccia, ci stringemmo l’una contro l’altra sotto un grande asciugamano. Poi, mentre la asciugavo, cominciai a raccontarle delle sensazioni forti e dei desideri irrefrenabili che aveva suscitato in me quando l’avevo vista la prima volta di persona e dell’emozione che mi aveva dato spiarla mentre si spogliava. Subito dopo, mentre le asciugavo i capelli con il phon, mi confessò che non era la prima volta che aveva fatto l’amore con una donna, ma che giusto alla mia età, dopo qualche esperienza deludente con i ragazzi, era stata iniziata all’amore saffico, quando lavorava come hostess in una fiera, da una sua collega che l’aveva portata in uno sgabuzzino, con una scusa, per poi farle delle avances che sulle prime aveva respinto, ma che poi aveva finito per accettare e contraccambiare con piacere. Con le donne, affermava, si trovava meglio perché solo con loro si sentiva veramente sé stessa, senza le ansie e gli atteggiamenti di ruolo che subentravano, inevitabilmente, con gli uomini. Era come ritrovarsi di fronte ad un proprio “alter ego”, guardarsi allo specchio psicologicamente e fisicamente, per penetrare dentro i misteri dei propri sentimenti e dei propri desideri. E poi solo le donne sapevano cosa veramente piace ad una donna e lo mettevano in pratica con una dolcezza e delicatezza sconosciuta agli uomini. Infine, dal punto di vista estetico, non c’erano paragoni. Quando fummo entrambe asciutte e dopo aver lavato le camicie da notte, rimanendo ancora nude, ci spostammo in camera sua, dove ci guardammo allo specchio per un po’, facendoci i complimenti a vicenda; in particolare elogiai i suoi seni, ma, d’altra parte, anche a lei, disse, piacevano molto. Quindi ci vestimmo e andammo in cucina per mettere rimedio al disastro che avevamo combinato: c’erano cioccolata e nutella un po’ dappertutto. Poi trascorremmo la maggior parte del tempo sfogliando riviste che, come tutti i numeri estivi, contenevano donne nude in abbondanza e facemmo numerosi commenti piccanti. Dopo aver pranzato, vedendo che l’ora del ritorno di mia madre si stava avvicinando, la feci spogliare un’altra volta per rinfrescarmi la memoria su com’era fatta, dal momento che non l’avrei più rivista per chissà quanto tempo.

Mia madre arrivò nel primo pomeriggio, come previsto, in tempo per accompagnare Carla alla stazione. Scesa dalla macchina, congedandosi da me davanti a mia madre, mi disse, sorridendo, che le aveva fatto davvero tanto piacere conoscermi. Io contraccambiai.

Gli anni seguenti ci spedì diverse cartoline, soprattutto dall’estero, dalle quali apprendemmo che aveva abbandonato l’insegnamento per fare l’interprete, quindi non ricevemmo più sue notizie.
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