Attesa per oggi la diffusione del documento vaticano che vieta l'ordinazione sacerdotale agli omosessuali. Reazioni positive e perplessità, anche da settori della Chiesa. E negli Stati Uniti cresce il dibattito.
Viene pubblicata oggi l’Istruzione vaticana che stabilisce il no ai preti gay. Anticipato da una settimana dall’agenzia Adista, il documento arriva dopo una gestazione di circa otto anni e in cinque pagine ribadisce la posizione del Catechismo della Chiesa cattolica, che distingue tra atti omosessuali (''intrinsecamente immorali e contrari alla legge naturale'') e tendenze omosessuali (''oggettivamente disordinate''). Tuttavia, ai fini dell'ammissione al seminario e al sacerdozio, tale distinzione passa in secondo piano: se è vero, infatti, che le persone che manifestano tale tendenza - afferma il documento - ''devono essere accolte con rispetto e delicatezza'' ed evitando ''ogni marchio di ingiusta discriminazione'', ''la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta 'cultura gay'”. Vescovi e superiori sono chiamati a vigilare insieme ai confessori e padri spirituali, dal momento che “sarebbe gravemente disonesto che un candidato occultasse la propria omosessualità per accedere, nonostante tutto, all'Ordinazione”.
Una posizione chiara e inequivocabile che ha suscitato prese di posizioni, non solo quelle scontate del mondo laico, ma anche di esponenti della Chiesa. Se in Italia il tema è passato sotto silenzio, negli Stati Uniti accanto ai commenti decisamente positivi di settori più o meno conservatori, si sono registrate anche perplessità. John Allen, autorevole vaticanista del Catholic National Report, scrive che il documento non definisce cosa significhi l’espressione “tendenze omosessuali profondamente radicate”, non chiarendo come stabilire i confini tra un’omosessualità transitoria e impulsi innati. Rimane poi una questione di fondo: se la chiamata al sacerdozio presuppone il celibato, quale differenza ci sarebbe tra un prete etero e uno gay che in modo coerente mantengono fede alla loro promessa di castità?
Laurie Goodstein del New York Times lo ha chiesto ad alcuni sacerdoti, raccogliendo le risposte in un interessante articolo pubblicato qualche giorno fa. “Non c’è nulla in questo documento che richieda un cambiamento della pratica corrente”, ha detto don James Bretzke, docente di teologia e studi religiosi all’Università di San Francisco. “Sebbene un gran numero di vescovi e superiori diranno che da ora in poi non sarà possibile ammettere alcun gay, penso che il documento non avrà alcun effetto visibile”. “Ci sono molti preti e seminaristi omosessuali eccellenti - , continua Bretzke – le stime variano da un minimo del 10 a un massimo del 60% di sacerdoti tra il clero americano”.
E se don Richard John Neuhaus, editore di First Things, un giornale conservatore su religione e società apprezza la decisione del Vaticano, che riguarda chi ha “desideri dominanti o esclusivi verso lo stesso sesso”, padre Bretzke ribatte che l’Istruzione fa riferimento soltanto a chi non è casto e frequenta saune gay o locali o fa uso di pornografia. Le idee non sono chiare, ammette don Stephen P. Rossetti, uno psicologo e presidente del San Luke Institute di Silver Spring, convinto che “i vescovi dovrebbero chiedere ulteriori chiarimenti prima di conoscere come applicare il documento”.
Al di là delle posizioni ufficiali, colpiscono alcune testimonianze di sacerdoti omosessuali, che nonostante la loro condizione hanno potuto testimoniare con gioia il Vangelo. Don Fred Daley, 58 anni, parroco di Utica, nello Stato di New York, ha spiegato al Quotidiano Nazionale, che “usare l’orientamento sessuale di un individuo come discriminante per il sacerdozio è ormai assurdo”. Ordinato 31 anni fa, don Daley vive il suo sacerdozio in modo esemplare e il 25 marzo del 2004 durante la predica alla messa delle 10 ha deciso di parlare ai parrocchiani della sua omosessualità. “La ragione per la quale l’ho fatto - spiega - è stata perché non potevo rimanere più a lungo in silenzio quando mi sono accorto che le gerarchie della Chiesa cominciavano a prendere come bersaglio i preti gay associandoli direttamente agli abusi sessuali”. “Invece di guardare al sesso e ai gay come a una devianza, giudichiamo il loro operato come sacerdoti, la loro condotta morale durante il sacerdozio o nella preparazione al sacerdozio. Essere gay nella chiesa, non ha nulla a che vedere con i preti pedofili o con gli abusi che i sacerdoti, soprattutto in America, hanno commesso nei confronti dei giovani”.
Una testimonianza a cui si associano le parole di un prete gay di Boston, oggi direttore spirituale. Al New York Times, ha spiegato che se un giovane gay gli chiedesse di diventare prete, sarebbe giusto valutarlo “sulla base della sue qualità personali”. “Il lavoro del direttore spirituale – ha detto - non è portare le persone lontane dalla loro vocazione, ma aiutarle a capire cosa Dio le chiama a fare”.
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