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00domenica 26 febbraio 2006 02:21
Pacifico, primo ospite dell'altro SanRemo
Intendiamoci, non ha deluso per la canzone, che era un capolavoro che lasciava i segni sulla pelle, di lacrime e di sangue. Ha deluso perchè era talmente emozionato da non riuscire a cantare. L'uomo giusto al posto sbagliato.
Invece, l'habitat ideale di Pacifico è l'altro Festival, il nostro. Perchè, di fatto, la sua carta d'identità musicale, che annunciava nella canzone d'esordio («Gino, papà napoletano, un quarto brasiliano, Pacifico, Milano»), va assolutamente aggiornata, con un riferimento alla Liguria. Perchè, di fatto, Dolci frutti tropicali, lo straordinario terzo album di Gino, ha la sua anima più vera in Liguria. Anche se, come avete potuto vedere in prima pagina, il quadro onirico di Tanino Liberatore, uno dei più grandi disegnatori italiani, non raffigura propriamente le nostre riviere.
Eppure, Dolci frutti tropicali è ligure, ligurissimo. In parte perchè i collaboratori che firmano il disco escono dalla squadra che ha accompagnato Fabrizio De Andrè, da Piero Milesi che dirige gli archi ad Adele Di Palma che, con la sua Cose di musica, cura con amore artigianale i tour di Gino, così come curava quelli di Faber.
In parte perchè, materialmente, molte canzoni sono nate l'inverno scorso sulle nostre coste. A Lerici, Bonassola, Levanto. Deiva Marina, soprattutto. Lo racconta lo stesso Pacifico: «Nell'ottobre del 2004 - con la botta di Sanremo ancora calda - ho riempito la mia macchina di strumenti, il cane sul sedile anteriore e mi sono trasferito per sette-otto mesi in diverse località balneari. Nel senso del mare d'inverno. C'era tanta Liguria: abitazioni con l'aria trascurata e in disuso delle case di mare durante i mesi invernali, circondate da piccoli giardini aggrovigliati e arruffati in cui svettavano palme enormi. Piccole città e quartieri, luoghi sospesi, in attesa, con le piante che aspettano di arrossarsi, l'acqua ghiacciata lungo i tubi delle docce degli stabilimenti balneari, case e ringhiere scrostate, tutto umido e arrugginito. E ci sono spesso binari e piccole stazioni; e cielo aperto e molti aeroplani; e pinete, e animali nascosti; molta pioggia e nessuno per strada...». Il mare d'inverno, la Liguria.
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00martedì 28 febbraio 2006 16:41
Dolci frutti tropicali


Ci sono dischi che sono perfettamente rappresentati dalla copertina. E’ raro, ma non impossibile, che l’immagine non sia un semplice elemento di “packaging”, ma un valore aggiunto e integrante della musica: è il caso di “Dolci frutti tropicali”.
Il terzo album di Pacifico può vantare un disegno di Tanino Liberatore: ed è un triplo vanto, perché l’inventore di Ranxerox è un nome quasi mitologico nel fumetto, e perché prima aveva disegnato solo per Zappa. Ma soprattutto perché ha confezionato un’immagine bellissima ma ingannevole, con il doppio fondo, come la musica di Pacifico: una bella donna in costume su uno sfondo marino, che in realtà è un cartellone stradale cittadino.
La musica di questo disco gioca sullo stesso inganno: a partire dal titolo, che fa pensare a chissà quale tropicalismo. Invece è un’insieme di canzoni apparentemente “leggere” (“Musica leggera” era il titolo del disco precedente – vedi recensione), ma che invece parlano di fuga, dello scappare dalla città oppressiva. E infatti Pacifico l’ha scritto al mare, in seconde case altrui, quasi confezionando un “concept album”.
La scrittura: è questo il punto forte di Pacifico, che non a caso è stato spesso chiamato a comporre per altri (da Celentano a Bersani, che ora rende il favore cantando in “Da qui). La scrittura insieme al gusto per l’arrangiamento, che gioca tra soluzioni tipicamente cantautorali e sperimentazione elettronica. Quando questi elementi si equilibrano vengono fuori dei piccoli capolavori, come “L’inverno trascorre”. Il punto debole di Pacifico è la voce esile, che in alcuni casi non rende giustizia alle canzoni: ma la bravura di Pacifico sta anche nel trasformare quello che può essere un difetto in un tratto distintivo.
“Dolci frutti tropicali” dimostra, se ancora ce n’era bisogno, come la musica di un cantautore può essere leggera e pensata contemporaneamente. A doppio fondo, appunto: piacevole e disponibile ad un ascolto d’intrattenimento, ma contemporaneamente profonda senza essere pesante.
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00giovedì 9 marzo 2006 19:43
Pacifico in concerto a radio rai1
E’ uno dei concerti più attesi di Radio Rai1. Domani sera a partire dalle 21,00 dalle sale di via Asiago, Gino De Crescenzo, meglio conosciuto come Pacifico, presenterà alcuni brani del suo più recente lavoro discografico, “Dolci Frutti Tropicali”. Dopo l’omonimo e pluripremiato album d’esordio, uscito nel 2001, e il disco “Musica Leggera”, pubblicato nel 2004, “Dolci frutti tropicali” è il terzo album di inediti di Pacifico (prodotto, come i primi due, da Paolo Iafelice). All’album hanno collaborato diversi artisti, tra cui Samuele Bersani (duetta con Pacifico nel brano “Da qui”), la cantante-rivelazione Petra Magoni (canta nel brano “Caffè”) e il trombettista Roy Paci (nel brano “L’Altalena”). Anche la copertina dell’album si avvale di un contributo illustre: quello del fumettista Tanino Liberatore, uno dei fondatori della rivista Frigidaire, che vanta, come precedente collaborazione col mondo musicale, la copertina del disco di Frank Zappa, The man from Utopia (del 1983) La serata sarà presentata da Gerardo Panno, conduttore radiofonico e giornalista musicale.
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00lunedì 10 aprile 2006 02:28
Pacifico – Dolci frutti tropicali
Gino De Crescenzo, in arte Pacifico, già chitarrista e cofondatore dei Rossomaltese, al suo terzo disco conferma di essere un raffinato cantore delle sottili inquietudini del quotidiano, rasserenate dall’ironia e dalla riflessività della maturità.

Ci sono artisti che cantano la più incontrollabile e magmatica disperazione in salsa gotica e teatrale; altri invece fotografano la serenità imperturbabile del loro spirito quieto e felice. Pacifico invece è cantore delle inquietudini sottili del quotidiano, che affiorano ad increspare imprevedibilmente la superficie cristallina del suo mare interiore. L’ironia e il disincanto dei suoi quarantadue anni lo mantengono al riparo dal dramma, ma una sensibilità rara e profonda, che è la lente di ingrandimento che eleva al rango del poetabile le piccole ansie e i piccoli oggetti del quotidiano, lo tengono altrettanto lontano dalla morsa e dal morbo del cinismo. In questo terzo disco, il primo pubblicato da Radiofandango, etichetta diretta da Stefano Senardi che fa capo alla Fandango di Domenico Procacci, Gino De Crescenzo sciorina i frutti succosi delle variegate stagioni dell’animo, sospeso tra turbamenti e sete d'infinito. Se le riflessioni del precedente denso lavoro, “Musica leggera”, si appuntavano sulla fugacità della vita umana, questo album sembra concentrarsi sulla durata interiore dei sentimenti e la misura dell’inesorabile trascorrere del tempo diventa l’attesa, che proietta il cuore al di là dei limiti del finito nel tentativo vano ed infinito di trovare e fermare ciò che conta davvero. E’ lo spirito di “Punti fermi”, che tra indie-pop elettroacustico e cantautorato tramato dell’elegante pianoforte di Diego Baiardi, contrappone l’affannosa e pure paziente ricerca dell’amore e l’illimitato slancio dell’animo oltre il tempo finito e reale ai piani, i progetti e i pensieri razionali di chi accumula e costruisce ciò che il tempo distrugge. Non dissimili sono anche le atmosfere del capolavoro “L’inverno trascorre”, con la voce in primo piano sul lento, maestoso e cinematografico crescendo degli archi dell’Edodea Ensemble di Edoardo De Angelis, scritti e diretti da Piero Milesi; i violini sembrano trascrivere l’incedere rallentato del tempo nella stasi dell’inverno ma anche, tra i lancinanti ed intensi inserti della chitarra elettrica di Silvio Masanotti, disegnare l’infrangersi imperscrutabile della linea delle onde osservata dallo stimato Baricco di “Oceano mare”. Fermo e inattivo è anche lo sguardo che, gonfio di speranze, in “Da qui” scruta il libero volo di un aeroplano da una dimensione microscopica e casalinga, intessuta di suoni scordati e minimali, tra l’orchestra di giocattoli dei samples di Tommaso Colliva e l’ukulele di Gaetano Cappa (Istituto Barlumen); dalla musica da carillon si passa al ritornello più disteso e cantautorale affidato a Samuele Bersani, che descrive l’unico movimento effettivamente possibile, quello programmato e arrugginito del treno. La ciclicità dell’ordinario si ostina a ridurre “l’infinito a pastiglia o pozione”, a inscatolare e minimizzare sogni e ideali, che baluginano in un orizzonte la cui linea è impossibile da raggiungere: così la pianistica “L’incompiuta” ricorda (con leggera ironia ma anche con il peso dell’amarezza) che non si raggiunge mai il traguardo definitivo, mentre la deliziosa prima ghost-track “L’elefante”, in cui lo splendido sassofono di Daniele Comoglio imita anche il barrito del pacato e pesante animale, non può che narrare l’impossibilità di fuggire da un pantano che si fa sempre più compatto e dare voce al grido ingoiato e represso di quella rabbia che l’esitazione ammutolisce. La vita è solo uno stanco trascinarsi di giorni senza riscatto? No, per Pacifico la ricetta salvifica è l’ironia che nella seconda ghost-track “Made in Cina” toglie tragicità al dolore in un divertissement che ricorda la “Senza te” del primo album del cantautore. I dubbi e le inquietudini giornaliere sono affidate ai fondi di caffè nel brano dedicato al risveglio e cantato con Petra Magoni, mentre il segreto della serenità sembra essere liberarsi dalle aspettative nel pop venato di jazz e quasi di reggae della primaverile “Nuvola”, che, con l’ottima base ritmica di Camillo Bellinato (basso) e Johannes Bickler (batteria), gli arpeggi di chitarra acustica e il piano di Alberto Tafuri pare strizzare l’occhio a Sting, Fabio Concato e persino a João Gilberto (ricordate il “papà napoletano, un quarto brasiliano” del brano di presentazione “Pacifico”?). Medicina di ogni malattia dell’animo è poi quello che in “Ricomincia ogni giorno” Pacifico definiva “curarti e darti da bere, senza mai darlo a vedere”, una molteplicità di attenzioni e cure silenziose, degne del vero amore altruista, per cui l’attesa è mettere da parte ogni richiesta, esigenza o pretesa, per seguire con discrezione il percorso vacillante e sofferente dell’amata. E’ questa infatti la filosofia dell’ispirato e penetrante intimismo de “L’altalena”, che sfoggia la linea discreta e delicata della chitarra solista di Masanotti, il flicorno di Roy Paci, il sapiente e misurato piano di Baiardi e il ritmo cadenzato degli altrettanto stimati e fidati Bellinato/Bickler. Anche il dolore vischioso del nuovo eroe solitario che va ad affiancare King Kong nella personale galleria di personaggi inquieti ed emarginati di Pacifico, quello del Polifemo del brano omonimo, prepotentemente onirico e immaginifico, rallenta ed evapora nel cielo: il tetto di stelle che diventa paracadute del tuffo in uno squarcio di lirismo incantato nella romantica “Dal giardino tropicale” è qui infatti linea di fuga dei sospiri del protagonista; Polifemo vede nel “contar le stelle” un modo per annullare finalmente la corsa del tempo in un’estatica contemplazione, che non ha niente a che vedere con le immagini ipnotizzanti della tv/cattiva maestra di “Ferro e limatura”. Come già in “Musica leggera”, l’approdo della scrittura di Pacifico è la serena consapevolezza della leggi della vita; la sua versificazione però si è fatta intanto più semplice, sicura e immediata, mentre la musica, dopo la libera sperimentazione del primo disco e la suggestione delle sonorizzazioni studiate e delle sonorità cantautorali del secondo lavoro, si apre a sonorità più ricche ed elaborate, tra abissi di archi,voli poetici e la concreta polvere della strada per un’impronta musicale più simile alla rodata costruzione del suono della sua musica live e on the road. Giunto al terzo album, il suo cantautorato si conferma ricco di stile e carico di un buon potenziale emozionale, con risultati che per atmosfere ed equilibrio tra arte e comunicazione ricordano l’augurio che a Sanremo 2004 gli fece Tony Renis, quello di diventare il De Gregori del 2000.
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00sabato 2 settembre 2006 10:25
Pacifico,quando la musica è leggera


La musica leggera, quella che nella notte ti entra dentro come un tarlo. E' così per Pacifico, uno degli autori italiani che meglio ha saputo, negli anni, mettere in musica le emozioni: quelle belle e semplici. I suoi testi raffinati e la sua musica hanno colpito al cuore tanti artisti italiani, da Samuele Bersani ad Adriano Celentano, da Gianna Nannini a Fiorella Mannoia. Tgcom ha incontrato il cantautore milanese e ha fatto con lui una chiacchierata.

Il 2006 è stato l'anno del tuo il terzo album. Dalla sua uscita a oggi cosa c’è stato nella vita di Pacifico?
In generale è dal primo disco che provo questa sensazione di una continua evoluzione, anche se il mio debutto da solista segna l'inizio di tutto. Ora mi sembra che la mia carriera sia in un continuo cambiamento. Ma se c’è una novità "vera" è quella che mi ha portato, in questo ultimo periodo, a tornare a scrivere e questo approccio alla scrittura è visibile soprattutto nel mio ultimo lavoro (Dolci Frutti Tropicali) dove c’è stata una sorta di scarnificazione proprio dal punto di vista testuale.

Molti a torto non ti conoscono. Ma oltre a scrivere per te lo fai anche per gli altri, le tue collaborazioni sono varie, citiamo per tutte quella con Samuele Bersani che è anche diventata un’amicizia. Il ruolo di autore ti piace quanto quello di interprete di te stesso, se mi lasci passare il termine.
Io amo il modo in cui riesco ad affrontare questo mestiere. Certo non sono mai stato uno che si è messo il riflettore in faccia. L’essere interprete di me stesso mi crea anche una certa difficoltà, ovviamente in senso buono. Sai…a volte essere autore e basta ti pone nella condizione di guardare tutto con occhi diversi.

Sei uno degli artisti italiani, diciamo così, con la penna facile. Hai mai pensato di scrivere poesie o racconti. Alla fine le tue canzoni un po’ già lo sono…
Poesie dici? Sinceramente ci sto pensando solo ultimamente perché mi è capitato di ricevere appunto poesie e racconti di tante persone che mi chiedono un giudizio artistico sulle loro opere. Io non mi sento all’altezza, ma ho letto cose pregevoli. Per tornare alla tua domanda, adesso non mi sento pronto, magari in futuro…

Dai Rosso Maltese, alla carriera solista. Un percorso lungo. Cosa ti resta di quella prima esperienza?
Molto come è facile immaginare. Per me i Rosso Maltese hanno rappresentato una palestra di vita. Con loro ho imparato ad arrangiare e a capire la dinamica di molti strumenti, anche perché eravamo una piccola orchestra. Di quel periodo mi è rimasto anche il fatto di essere considerato uno “alternativo” e mi capita di essere associato, con grande piacere, ad artisti come Frankie Hi-Nrg, Amari, Baustelle.

Chi ti ha formato nel tuo percorso musicale?
I Beatles in modo assoluto. Credo di aver consumato i loro album. Poi artisti italiani come Pino Daniele e Ivano Fossati, ma per un motivo in particolare: sono musicisti che fanno molta attenzione al suonato e nella prima parte della mia carriera ero attratto più dalla musica che dai testi.

Adesso ti aspetta il teatro immagino. Che poi è il luogo che meglio si adatta alla tua musica…
E’ così infatti. Stiamo cercando di organizzare concerti in piccoli teatri dove la mia musica trova una migliore dimensione, anche se abbiamo ancora alcune date in spazi aperti. Il 2 settembre, per esempio, sarò a Milano. Poi comincerò a scrivere i nuovi pezzi. Ci sono cose che ho già messo giù e che ho intenzione di proporre agli artisti con i quali collaboro.
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