SE VINCONO I NOMADI...
LO STORICO GRUPPO ITALIANO COMPIE QUARANT'ANNI DI VITA E FESTEGGIA TORNANDO AL FESTIVAL, 35 ANNI DOPO
Era il 1971 e per loro fu un esperienza sfortunatissima. «Ma quest'anno è tutto cambiato», dice Beppe Carletti, l'unico rimasto sin dalle origini. Tanto che a Sanremo...
«Se vincono i Nomadi non perde nessuno...». Discografici, cantanti, addetti ai lavori: tutti a Sanremo hanno adottato questo slogan, che è anche un po’ un modo elegante di esorcizzare il "ciclone" Nomadi abbattutosi sul festival dopo l’unica, sfortunatissima esperienza del l971, quando... «Quando ci presentammo al festival con la canzone Non dimenticarti mai e fummo sbattuti fuori senza il piacere di assaporare la finale...».
È Beppe Carletti, leader storico del gruppo (Augusto Daolio è scomparso nel 1992, a 45 anni), a raccontarci quel momentaccio, che a distanza di tempo, tuttavia, diventa quasi una leggenda.
Che cosa ricordi di quel Sanremo?
«Che cantavamo la nostra canzone in coppia con Mal; che vinsero meritatamente Nicola Di Bari e Nada con Il cuore è uno zingaro; che Celentano si piazzò quinto e che i Mungo Gerry con In the summertime arrivarono ultimi. Fu un grande festival, con José Feliciano che cantava Che sarà e Lucio Dalla che sfondò con 4 marzo 1943. Comunque capimmo che noi e il festival eravamo decisamente incompatibili...».
Allora, scusa la franchezza, adesso siete diventati compatibili, visto che da quella vostra esperienza Sanremo è andato via via peggiorando?
«A te la verità la dico: la nostra canzone, Dove si va, è certamente un buon pezzo ed è uno dei 10 inediti che saranno pubblicati in questi giorni nell’album Con me o contro di me. Una combinazione fortunata, che valeva la pena di essere usata come rampa di lancio per la nostra nuova fatica».
Quarant’anni di carriera, visto che nacquero al Cantagiro del l966, quando fu istituito il girone dei gruppi e i Nomadi gareggiarono con i famosi Rokes, l’Équipe 84, i Camaleonti, i Giganti, i New Dada. Un debutto-provocazione, perché la loro canzone, Come potete giudicare, era un inno contro la discriminazione della musica "cuore-amore-melodia" nei confronti dei gruppi rock, i cosiddetti "capelloni", che sulla scia dei Beatles e dei Rolling Stones stavano imponendosi nel mondo giovanile. Da allora i Nomadi hanno inciso 36 album. Ma nonostante la quantità (quasi un disco l’anno), la qualità non è mai stata trascurata. Ed è anche questo il motivo del tormentone sanremese: se vincono loro non perde nessuno...
Beppe Carletti, unico rimasto dei fondatori dei Nomadi,
accanto al pullman del gruppo (foto Ansa/La Presse).
Ma torniamo a quella prima volta al festival...
«Ci arrivammo come a Disneyland», continua Beppe Carletti. «Alloggiavamo all’Hotel Londra, che allora era uno dei più prestigiosi alberghi della riviera. A quel tempo il festival si svolgeva ancora nel minuscolo teatrino del Casinò e il primo giorno, dopo le prove, passeggiammo per corso Matteotti, con le vetrine dei negozi dai prezzi impossibili, arrivammo in fondo, in piazza Colombo, e ci venne subito un’idea: lo spazio c’era, perché non offrire ai cittadini sanremesi un nostro concerto dal vivo in strada? Tra il dire e il fare c’era di mezzo la burocrazia, ma l’ostacolo non si rivelò insormontabile e suonammo per diverse ore, fu un successo e a quel punto pensammo che avremmo addirittura vinto il festival...».
E quest’anno?
«Tutto cambiato: abbiamo scelto un albergo arrampicato sulla collina, per arrivarci bisogna organizzare un’escursione, così ce ne stiamo tranquilli e lontani dal caos che in questi giorni è davvero incredibile. Però il mercoledì, quando il festival è sospeso per la partita di calcio, torniamo a offrire un concerto gratuito in piazza. Stavolta siamo un po’ più conosciuti e l’iniziativa è stata accolta con grande entusiasmo dalla gente. Dai, possiamo dire che ci siamo fatti anche noi la nostra "campagna elettorale"».
Prima di raggiungere Sanremo i Nomadi hanno mantenuto la promessa di celebrare, come ogni anno, a Novellara, l’omaggio al leader scomparso.
I loro viaggi della speranza
Come sempre gran folla e tutto il popolo dei Nomadi, così trasversale, così plurigenerazionale, con la nursery per figli e nipotini. Per poterlo descrivere non servono parole, bisogna almeno una volta andarci di persona e rendersi conto dell’affetto che nonni, genitori e figli profondono applaudendo, ma anche mandando sul palco piccoli foglietti di carta con scritte che poi vengono lette alla platea. A gennaio, seguendo un costante progetto di solidarietà che ormai fa parte del loro modo di leggere la vita, Beppe è volato a Meulabho, Sumatra, in Indonesia, per vedere se i lavori di costruzione del Centro medico progettato in collaborazione con Ecpat, Rock no war e la Croce Verde di Reggio Emilia fossero terminati.
I fondi sono stati raccolti con una serie di concerti e con parte degli incassi di Corpo estraneo, il loro ultimo album, vincitore di due dischi di platino. Il cammino della speranza di Beppe e compagni ha radici antiche: in Cambogia hanno realizzato e inaugurato la casa di Battamarg, che ospita ragazzi mutilati dalle mine, hanno iniziato da tempo una campagna di solidarietà insieme ad Afesip (Agir pour les femmes en situation précarie) ed Ecpat (End child prostitution, pornography and trafficking) per sostenere un centro per le bambine vittime dello sfruttamento sessuale in Vietnam.
Nomadi di nome e di fatto, girano il mondo portando un segno di partecipazione ai tanti drammi che lo sconvolgono. Dopo la pausa sanremese, una tournée e altri viaggi della speranza. «Se vincono loro non perde nessuno...». Se era per esorcizzare questa possibilità, è stato un errore di valutazione, perché i Nomadi il festival della vita l’hanno già vinto, solo con le armi della loro incredibile voglia di essere parte degli altri.