zon@ venerdi
00lunedì 7 novembre 2005 04:31
Jovanotti sbarca al Palalottomatica di Roma il 10 novembre
Giovedì 10 novembre Jovanotti sarà in concerto al Palalottomatica di Roma. Con lui sul palco ci saranno Saturnino (basso), Franco Santarnecchi (moog, hammond, rhodes.dx7, clavinet, synt), Jorge Bezerra Junior (percussioni), Mylious Johnson (drums), Riccardo Onori (chitarre) e Cristian Rigano (computers, synt, sequencer, tastiere). Ad aprire il concerto la band dei Corveleno, uno dei gruppi rap più rappresentativi dell'attuale scena hip hop italiana. Il 2005 ha segnato per Jovanotti un grande rientro sulla scena musicale: il suo ultimo lavoro discografico "Buon sangue" è già triplo disco di platino e ai primi posti della classifica di vendita. L’ultimo singolo "Mi fido di te" è la canzone più trasmessa dalle radio italiane ed è tra i brani più scaricati dai siti che offrono musica on line. Il nuovo tour “Buon Sangue” è partito il 22 ottobre 2005 da Ancona, per poi toccare, tra ottobre e dicembre, le principali città italiane, con oltre 20 concerti. Lo show sarà fortissimo.
Lo spettacolo inizia da quando si entra nel palazzetto. Ci sono I CORVELENO, il gruppo di rap più amato dalla scena hip hop italiana, una mezz’ora di rime e giradischi poi se ne vanno. Si spengono le luci e inizia il viaggio nella suggestione delle voci del cinema, un mix ininterrotto di samples di frasi celebri dei film: drama, sogno, allegria, dolore, utopia, forza, amore, sesso, politica, in un frullato di parole che portano il pubblico verso il tempo del concerto che è tempo compresso, modificato, pompato, fatto brillare. E infatti quando la band e LORENZO entrano in scena le luci del palazzetto invece di spegnersi, si accendono e si attacca come se quello lì fosse il gruppo spalla, una cosa che ti prende strano, e non sai come reagire e allora lasci che la reazione sia vera, la ritualità del concerto pop è infranta, questa è un altra cosa, è una storia nuova. La band e l’MC salgono sul palco come se venissero da fuori, come macchinisti di un treno che prendono posto ai comandi. Il palazzo dello sport è un mezzo di trasporto, si parte. Jovanotti fa concerti da una quindicina di anni e anche stavolta, più del solito, ha deciso di cambiare, di rimettersi a giocare con i linguaggi ma stavolta tutto è compresso, in faccia, semplice, potente e per quanto possibile umano (grazie anche ai computer) ma senza un’identità forte, anzi il “messaggio”, se proprio deve esserci un messaggio, è che siamo dentro al frullatore e ciò che vale non va mai perduto, anzi più lo frulli e meglio è. E’ una liturgia relativista, se lo guardi da un certo punto di vista, è uno spettacolo di musica pop se lo guardi da un altro, è un raduno notturno…è lo spirito del rock’n’roll. Va in scena il ritmo.
Questo spettacolo di Lorenzo ha un’anima più cruda e funk-rock del solito. Non ha voluto la sezione fiati, i cori, per darsi il vincolo dell’elettronica e della ritmica brutale e black. La band di sei musicisti è densamente spopolata e superselezionata. Mylious Johnson è il miglior batterista under 30 del mondo (south Bronx, ha suonato con Pink, Common, Jay-Z, Destiny’s Child, Mos Def, Beyonce ecc.), Jorge Bezerra Junior è un giovane percussionista brasiliano cresciuto in tour con Joe Zawinul, il numero uno dei talent scout di musicisti oltre grande genio. Saturnino è il legame con la musicalità di Lorenzo, il suo basso, la sua pancia. Riccardo Onori fa parte della squadra da alcuni anni, è un chitarrista eccezionale e unico, di Prato e del mondo. Frank Santarnecchi è stato scovato da Jovanotti mentre suonava jazz nei locali con lo spirito di un bambino e il gusto e la mano di uno Zawinul mediterraneo, in questo show suona le tastiere analogiche vintage: Hammond, Rhodes, dx7, moog, clavinet, vocoder. Infine Christian Rigano, nome da campione, ma non solo il nome è da campione, lui è la spina dorsale elettronica dello show: computer, tastiere digitali, batterie elettroniche. Michele Canova non è sul palco ma il suo apporto alla realizzazione degli arrangiamenti della turné è stato fondamentale. Alle spalle del palco ci sono 90 metri quadri di G-LEC, la nuova tecnologia tedesca nel campo della video proiezione, uno strumento fantasmagorico, un oggetto che è luce e immagine insieme, adatto a vedere ma ancora di più a sognare, a vivere l’immagine come se se fosse una presenza musicale, difficile da raccontare.
zon@ venerdi
00giovedì 15 dicembre 2005 10:30
Cuneo: Jovanotti, buon sangue non mente
C'era attesa, c'era suspance e cuori che battevano all'impazzata per vedere l'ultima evoluzione di Jovanotti.
Partito da Milano il 25 novembre in esclusiva "catturabile" sul telefonino grazie ad una nota compagnia di telefonia mobile nazionale; dopo il tormentone delle notti estive "tanto tanto tanto" finalmente siamo riusciti ad averlo a portata di orecchio, e di occhi.
Ad aprire le danze i "cor veleno", crew romana hip hop (incredibile, in Italia esiste ancora!!!) che hanno cercato di animare i primi arrivati, ancora infreddoliti dai "meno tre" esterni.
Una pausa, una miriade di lucine si riflette sul soffitto, frasi della "Divina Commedia", musica classica, colonne sonore e poi citazioni cinematografiche da "eyes wide shut"; "blade runner", "full metal jacket", "la vita è bella"; le luci di tutto il palazzetto si accedono, e senza aspettarcelo Jova e la sua band salgono dalla parte sinistra del palco.
Comincia lo spettacolo: la band si divide tra "fissi" (batterista, tastierista e percussionista) e "tarantolati" (Jovanotti, il chitarrista ed il grande bassista Saturnino, ormai una bandiera del gruppo) che corrono avanti ed indietro tutta la mastodontica superficie del palco, montato a "ferro di cavallo".
I primi pezzi non coinvolgono totalmente il pubblico, che comincia a saltare alla terza-quarta canzone (anche sugli spalti più alti). L'eco di un viaggiatore risuona nelle parole di uno spirito libero; storie di culture diverse e soprattutto di vita, la nostra vita, fanno da "fil rouge" a tutti i pezzi.
Da "rapper" (così come ama definirsi) cantautore, Lorenzo Cherubini snocciola uno dopo l'altro tutti i successi (o quasi) che hanno "colorato" la radio dagli anni '80 ad oggi partendo dalla primissima "gimme five" riproposta in versione funky, a "mi fido di te" in heavy rotation nei maggiori network radiofonici al momento.
Il personaggio di Jovanotti è sicuramente nella musica pop italiana, quello che incarna meglio lo spirito di comunicazione e apertura verso i temi sociali (che affronta con intelligenza).
Proprio per questo motivo, il pubblico presente in sala ci è parso il più eterogeneo degli ultimi concerti ai quali abbiamo assistito: dai bambini addormentati sul grembo delle mamme, ai nonni muniti di guanti e pellicciotto.
Il rapporto che ha verso il suo pubblico è veramente favoloso, al punto da dialogare coi singoli (ad una bambina di otto anni chiede se è già capace a fare le divisioni!!!); oltre che a parlare in generale ad esempio delle montagne che ci circondano e raccontare "fiabe metropolitane".
Il palco è attrezzato con un enorme schermo fatto di "led" coloratissimi, sul quale si vedono immagini che accompagnano il tema delle canzoni; il cartellone è movibile e riesce a dare l'atmosfera giusta, ed in certi casi ad isolare il cantante dal resto della band.
A volte romantico, a volte critico, o semplicemente felice di essere un "ragazzo fortunato", Lorenzo trasmette un'energia sbalorditiva che la gente coglie al volo; i musicisti che lo accompagnano non possono che sottolineare il tutto e creare un quadro che è a dir poco "vitaminico"!!!
La jam session a metà spettacolo, tra il percussionista e jovanotti, esplode poi nell'esibizione di tutto il gruppo e rimane uno dei momenti più particolari dello show.
Da Jovanotti a Lorenzo, ora "Jova", che è una parola che riporta al "giovamento", quasi come se tutti coloro che sono accorsi a vedere lo spettacolo fossero dei "pazienti" in attesa di una cura di due ore di felicità, compressa nel palazzetto.
Il prezzo del biglietto si aggirava sui 30 euro e lo spettacolo ne era all'altezza, ma mi chiedo; sarebbe possibile assistere a concerti di egual spessore senza dover spendere tutto ciò?
zon@ venerdi
00giovedì 29 dicembre 2005 18:46
Jovanotti
BUON SANGUE
Universal (CD)
Questo disco si è classificato al 14° posto nel referendum della redazione di Rockol.
Nello spazio recensioni trovate in questi giorni il “countdown dal 15° al primo posto: il vincitore verrà annunciato lunedì 16 gennaio.
Non fatevi ingannare dai fiumi di parole che solitamente accompagnano l’uscita di un disco di Lorenzo. Non fatevi fuorviare dal modo in cui lui stesso ha presentato questo “Buon sangue”, il disco del “ritorno” sulle scene dopo 3 anni. “Buon sangue” non è l’inno al relativismo musicale, al kaos sonoro di cui si sente dire in giro. “Buon sangue” è il suo disco più disco. E’ un album in cui Lorenzo è riuscito a far quadrare il cerchio, convogliando il suo disordine in una forma che non dimentica la canzone tradizionale, ma non tradisce la volontà di sperimentare.
Andiamo con ordine, partendo dai fatti: “Buon sangue” arriva ad oltre 3 anni da “Il quinto mondo”. 3 anni lunghi, intensi e anche difficili. Anni iniziati con una sovraesposizione mediatica e musicale, a volte cercata e a volte subita; anni proseguiti con una ricerca, un ritorno alla dimensione più vera della musica, perseguiti sia con progetti paralleli (il disco con il Collettivo Soleluna), sia con il silenzio.
“Buon sangue” è il punto di (non) ritorno. E’ un disco-fiume, come nella tradizione di Lorenzo; ma è un fiume arginato, incanalato per il verso giusto, senza le esuberanze musicali che rendevano particolare, nel bene e nel male, “Il quinto mondo”. Tradotto: è un disco più prodotto e meno suonato; la band (e che band) ovvero si sente dietro Lorenzo; ma si sente anche una maggiore voglia rispetto al passato di dare forma alle idee musicali, anche grazie all’uso dell’elettronica. Da questo punto di vista è stato fondamentale, lo ha raccontato lo stesso Lorenzo, il contributo di Stefano “Stylophonic” Fontana, di Michele Canova (il deus ex machina di Tiziano Ferro) e dei Planet Funk, al lavoro su “Coraggio”.
Ecco, si può partire proprio da qui, da questa canzone: una canzone dance, un ritmo travolgente, su cui Lorenzo fa una chiamata alle armi, invocando categorie professionali improbabili. Insomma, la canzone inizia come ritmo elettronico puro, e con una struttura anti-narrativa. Però poi si apre sul ritornello con una chitarra agli U2 che apre la melodia, e si ritorna alla forma canzone. Uno schema simile avviene su “Penelope” (che vede la partecipazione di Edoardo Bennato) o sul singolo “(Tanto)3”, che sicuramente conoscete già: una base sperimentale e non lineare su cui si innestano elementi tradizionali. Poi c’è l’altra faccia del disco, quella in cui Lorenzo fa il gioco opposto: canzoni tradizionali come le “Mi fido di te”, “Per me” o “La valigia”, su cui vengono innestati elementi di sperimentazione: ritmi elettronici, campionamenti… Come lo ying e lo yang, in ognuna delle due tendenze, sperimentazione e tradizione, c’è sempre un po’ dell’altra.
Il gioco funziona, quasi sempre, anche perché le canzoni non sbrodolano mai: sono tutte brevi, concise. Certo, poi, se comprate la “limited edition” vi trovate un CD con 13 altre canzoni: un “Extra F.U.N.K” (che sta per “Fratelli uniti nel Kaos”), fatto di “outtakes”, provini di studio che raccontano come è nato il disco, in forma volutamente più rude e torrenziale: se ne parla più dettagliatamente nell’altra recensione, che rockol pubblica in coda a questa.
Ma insomma, bravo Lorenzo: sei riuscito a non tradire la tua identità musicale, a farci credere che questo disco sia caotico, sia la tua consueta (!?) invettiva musicale che frastorna gli ascoltatori. E invece no. Anzi, e invece ni: ci sono un sacco di idee, di parole, di musiche. Ma “Buon sangue” è un disco tutt’altro che relativista (ammesso che questa categoria possa avere senso applicata alla musica), perché ha idee forti, più che in passato.
(Gianni Sibilla)
“Fior di giornale, i critici mi han scritto bene e male / ma i giorni tristi, a dirla veramente / son stati quelli che non hanno scritto niente”.
Una delle ragioni per le quali Rockol non recensisce i dischi nel giorno immediatamente successivo alla loro uscita è che ci piace prenderci il tempo di ascoltarli con attenzione, per poterne riferire in maniera completa. Francamente dubito che qualcuno dei colleghi che ha già ampiamente scritto di “Buon sangue” abbia ascoltato interamente e con la dovuta attenzione anche il secondo disco dell’edizione limitata, “Extra F.U.N.K.”: Beh, comunque io l’ho fatto, ed è proprio nell’ “Antologia di stornelli”, uno dei 13 brani del secondo Cd, che ho trovato i versi riportati in apertura di queste righe. Da questi partirei, per parlare del nuovo lavoro di Lorenzo.
Era mia intenzione aprire con una riflessione su quanto a Jovanotti è successo negli ultimi anni, ma molto meglio di quanto avrei potuto farlo io l’ha fatto Stefano Pistolini sul “Foglio” di sabato 14 maggio, nella prima puntata della sua nuova rubrica di argomento musicale (a proposito, bentornato a Stefano che riprende a scrivere di musica: si sente sempre il bisogno di menti lucide). Sicché, attacco con una considerazione: il Lorenzo di “Buon sangue” è un uomo di dubbi, non di certezze – il che me lo rende anche più caro, perché se c’era qualcosa che mi lasciava perplesso, in passato, era proprio la sicurezza apodittica con la quale enunciava le proprie convinzioni. Poi, evidentemente, la vita lo ha convinto che non si può mai essere troppo sicuri di nulla. Doloroso, ma istruttivo.
La considerazione successiva è che Lorenzo, in “Buon sangue”, si racconta con una franchezza così disarmante che a volte perfino imbarazza. Sembra di frugare in un diario, o in una corrispondenza privata, ascoltando frasi come “‘Innamorato?’ ‘Credo’ ‘E lei ti ama?’ ‘A suo modo’” – in “(Tanto)3” - o “Ti domanderai se anche stavolta sono io quello sbagliato” (in “Una storia d’amore”) o “Ti ho detto ‘Credi di avermi deluso ma ti darò ancora più passione’” (in “La valigia”). E mi è venuto da chiedermi se la protagonista o la destinataria di queste parole ne sia contenta: non delle parole, che credo qualunque donna vorrebbe sentirsi dire dal proprio uomo, ma del fatto che questa parole siano rese pubbliche, cantate in un disco e scritte sul libretto del Cd (la stessa domanda me la sarei potuta porre per Patti Boyd e “Layla”, o per Linda McCartney o per Yoko Ono e per tutte le canzoni in cui Paul e John Lennon squadernavano i propri sentimenti per loro). Al giornalista, dite, non dovrebbe importare: e avete ragione. Ma importa a me come persona, e come persona che a Lorenzo vuole bene: e se lui scrive e canta quelle cose, io penso e scrivo queste altre cose, peccando probabilmente dello stesso eccesso di franchezza.
Però, qui del disco si dovrebbe parlare, e non dell’autore-cantante. E anche se nel caso specifico la coincidenza fra il disco e il suo autore è totale (in questo senso, Lorenzo è assolutamente un cantautore: impossibile separare i testi delle sue canzoni dalla conoscenza che abbiamo della persona che li ha scritti e che li canta), il mestiere c’impone di esprimere un parere professionale.
E dunque, dopo almeno dieci ascolti dell’album (dieci ascolti del primo Cd dell’album; per il secondo sono, al momento, arrivato a tre), credo di poter dire almeno qualcosa di sensato. Dunque, “Buon sangue” ha un problema (un problema che molti dischi vorrebbero avere): contiene alcuni brani micidiali, che considero superlativi (poi vi dirò quali sono), a confronto con i quali gli altri brani appaiono più “normali”, inevitabilmente meno sorprendenti. Anche se, indubitabilmente, sono ottimi anch’essi, tant’è vero che nel suo complesso giudico “Buon sangue” un lavoro di grande qualità.
(apro qui una parentesi che forse potrà interessare i nostri piccoli lettori. Esiste, benché non ufficializzata, una “cupola” di giornalisti – principalmente le prime firme dei quotidiani – che in qualche maniera si consulta e si coordina per decidere che linea tenere nei confronti del nuovo disco di un artista di fama. Non è che facciano una riunione formale, intendiamoci: ma, insomma, si parlano, si intendono, e generalmente si attengono a un orientamento comune. Non so perché lo facciano, posso solo ipotizzare che ognuno di loro tema di steccare rispetto al coro, o che credano in una sorta di “mission” – a volte elogiativa a volte punitiva. Ecco, su “Il quinto mondo” questa “cupola” aveva assunto una posizione ultracritica; e in quell’occasione mi fece molto piacere che Rockol fosse nettamente in disaccordo con i ben più noti e autorevoli colleghi – se vi va, leggete qui: http://www.rockol.it/recensione.php?idrecensione=2074. Ecco, stavolta la “cupola” ha scelto di dir bene di “Buon sangue”: e il mio istinto di bastian contrario mi farebbe venir voglia di… ma davvero non posso, nemmeno per accontentare la mia vanità da predicatore solitario. Perché “Buon sangue” è proprio un bel disco).
Torniamo al dunque, e al disco. I vertici, i picchi, le vette della tracklist di “Buon sangue” (stiamo sempre parlando del primo disco) sono, a mio avviso, “Mi fido di te” e “Coraggio”, seguiti da “La valigia” e “Per me” - non considero, arbitrariamente, “(Tanto)3” come una traccia dell’album: perché, anche in quanto singolo di lancio, mi pare più un’introduzione teorico-metodologica.
“Mi fido di te”, con tutto che (perché non dirlo?) melodicamente richiama molto da vicino “Bella”, è una canzone meravigliosa, contagiosamente malinconica, illuminata da un testo pittorico squarciato da intuizioni felicissime (“L’affitto del sole si paga in anticipo, prego”, “La vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare”, “dottore, che sintomi ha la felicità?”, “questa non è un’esercitazione”, “cosa sei disposto a perdere?” - citazione da “Casino” di Martin Scorsese, nel film lo dice Robert De Niro/ Sam 'Ace' Rothstein) ed enunciato da un titolo bellissimo; gli archi spudorati di Celso Valli ci mettono il carico da undici.
“Coraggio” è tutt’altra roba, ma sempre roba strepitosa: ritmo duro (“questo ritmo è per voi”), una declamazione drammatica e convincente di un elenco di “bella gente” (figli di Apollo, progettisti di blue jeans, marziani fuori sede, scopritori dell’ovvio, annusatori di vinile, samurai e operai, cantanti in bilico, mungitori di rinoceronti, decoratori di inferni, modelle sovrappeso, collaudatori di preservativi, collezionisti di multe, fedeli al subwoofer…), e, sotto, un grandioso rumore – obbligatorio l’ascolto ad alto volume con i bassi pompati -, un assalto sonico che toglie il fiato, letteralmente, e in senso buono, e che cita esplicitamente gli Art of Noise di “Close to the edit”. Potrebbe diventare per Lorenzo quel che è diventato “Quelli che…” per Enzo Jannacci: una canzone-manifesto dal testo sempre ampliabile e rinnovabile.
Sotto a questi due vertici altissimi stanno “La valigia” e “Per me”. “La valigia” è un curioso pastiche degregoriano: il testo è zeppo di parole che sembrano tratte di peso dalle canzoni del Principe (foto, seni, cassetti, segreti, marinai, smettere e ricominciare) e anche la struttura della strofa è sintatticamente assimilabile a quella di certo De Gregori più intimista e meno visionario; anche qui, alcune frasi meritano di diritto l’inclusione in un ideale florilegio (“i giorni pesano se sono vuoti”, “anche le ragazze fanno promesse da marinai”, e anche quel “le nostre ombre divennero una” che richiama alla memoria un passaggio di “Una città per cantare” di Ron).
(altra parentesi. Se sottolineo così puntualmente analogie e riferimenti non è per sminuire il valore dei testi. Anzi, il mio parere personale è che la rielaborazione di un’esperienza letteraria possa avere lo stesso valore artistico dell’esperienza originaria a cui fa riferimento, e anche più valore, se è compiuta con spirito critico e con originalità – come nel caso del testo di “La valigia”. E non mi scandalizzerei più di tanto se dovessi paragonare Jovanotti e De Gregori. Anzi.)
Su “Per me” ho cambiato idea dopo parecchi ascolti. Al principio mi pareva più debole di altri brani (m’infastidiva quel “te” troppo colloquiale infilato nella frase “questa mattina quando te sei uscita prima di me”). Forse la semplicità del testo mi aveva in parte fuorviato, forse trovavo un po’ eccessivo tutto questo dichiarare amore incondizionato, forse gli archi (arrangiati e diretti da Bruno De Franceschi) mi parevano un po’ meccanici. Poi ho colto questa frase del testo: “L’abitudine, sai, è il peggiore dei guai: si diventa come due vecchi comici che non ridono più, che non inventano più, che sono lì a rassicurare il pubblico”. E sarà perché questa cosa a me è capitata proprio così, precisamente così; sarà che mi è venuta in mente “La canzone dei vecchi amanti” di Jacques Brel; sarà che stavo ascoltando il disco con una persona che mi è cara alla quale “Per me” è piaciuta moltissimo… insomma, adesso mi sono convinto che questa è un’altra delle perle di “Buon sangue”.
(terza e ultima parentesi: non lo so se questa frase, questa dei comici intendo, sia tutta farina del sacco di Lorenzo. Può anche darsi che sia una parziale riscrittura di qualcosa che Lorenzo ha trovato in qualche libro, in qualche prosa, o in qualche poesia, o in qualche altra canzone. Ma non m’importa: io non la conoscevo, per me è nuova, e bella. E’ questo che intendo quando dico che ri-creare può essere importante quanto creare, e quando m’incazzo con i ragazzi che incontro ai concorsi, che scrivono testi piatti e banali e scontati. Bisogna leggere, leggere, leggere: i libri, i giornali, le riviste, i romanzi, i racconti, i saggi. Imparare a cogliere le parole usate dagli altri, a metterle in fila in un ordine diverso, a farle proprie e rivitalizzarle.)
E le altre canzoni? “Falla girare” promette di diventare un bel momento live, con la sua struttura circolare; “Un buco nella tasca” contiene alcune divertenti idee testuali (“in una mano un cellulare nell’altra la clava”, “ho visto auto in doppia fila nel parcheggio di Dio”, “ho visto grandi orologi su gente di poco polso”) e una gustosa citazioncina da “Amici miei” (il coretto maschile di “Bella figlia dell’amore”); “Mani in alto” è una specie di “Alla fiera dell’Est” in forma di filastrocca, un poco faticosa nella sua schematicità (ma la frase “‘Non sparare, in nome di Dio!’ ‘Di quale Dio, del tuo o del mio?’ la dice più lunga di tanti articoli di fondo sui conflitti religiosi); “Penelope”, “La voglia di libertà”, “Bruto”, “Mi disordino” sono tracce onorevolissime, e la title-ghost-track è una creazione del Jovanotti più parabolico, col suo mettere insieme una lista di simbolici antenati ognuno dei quali ha “insegnato” qualcosa al pronipote (personalmente le preferisco la versione “Good blood” proposta nel secondo Cd).
Ho lasciato per ultima “Una storia d’amore”, che molti hanno già definito una sorta di “tributo” ai cantautori italiani “storici” (Paoli Tenco e via elencando). Mi lascia freddino, lo confesso: mi pare meno robusta e meno convinta di altre canzoni del disco, frutto più di esercitazione che di ispirazione (bella, però, la frase “ti nutrirò di coca-cola e di popcorn dentro ad un cine”).
Sul disco 2, (“cose extra, outtakes, provini, pezzi di altri pezzi, versioni alternative, experimenti, jams, tesori nascosti e altra roba”), ecco qualche informazione sparsa. Gli inediti-davvero-inediti sono la divertita “Un po’ di f.u.n.k.”, poco più che uno scherzo ritmico in sala; “Hai sentito le previsioni del tempo? (Ciao)”, un brano molto strumentale atmosferico e quasi chill-out (“Ciao… Un’estate ancora finché il mondo gira, dai che ce la fa, forse ce la fa, sì che ce la fa” ne è tutto il testo); la già citata “Antologia di stornelli”, che sullo schema popolare (appunto) dello stornello a dispetto allinea una bella e lunga (sei minuti) serie di considerazioni che testimoniano ancora una volta la dimestichezza funambolica di Lorenzo col vocabolario della lingua italiana; non una canzone, ma un divertissement con qualche momento salace (vedi “Fior nella pioggia”, “Fiore di rapa”, “Fior d’allegria”); “Cose pericolose” è un intervento rappato dei Corveleno, 50 secondi messi lì come documento di una visita in studio; “Mumbojumbo” è una sorta di viaggio in forma di canzone popolare, un giro del mondo attraverso i mercati delle città che ricorda certe cose di Branduardi (non nella musica, che qui è etnico/elettronica, ma nella formula narrativa che si dipana attraverso continui baratti – “Sono andato al mercato… Ho comprato… L’ho scambiato”).
“Fuori due” è “Penelope”, con un pezzo di testo diverso e molto efficace (“E c’è ancora qualcuno che si si chiede come mai quand’è la sera guardan tutti la tivù: perché là fuori succedono cose pericolose, perché là fuori succedono cose meravigliose, perché là fuori c’è uno che se ti vede ti prende e ti porta via”); “Rifalla girare” è ovviamente “Falla girare” in versione meno rifinita e con qualche frase di testo diversa; “Good blood” è “Buon sangue”, e come ho già detto mi piace più dell’omologa del disco uno (è più insistente e urgente e semplice e compatta); “Coraggio jam” è (invece) meno aggressiva e meno ossessiva della sua omologa del disco uno, e anche meno efficace (nell’elenco della “bella gente” compaiono “fidanzate di uomini sposati”, “masticatori di foglie di tè”, “malati di troppa vita”, “guardie e ladre” che nella versione del disco uno non ci sono); “Midi-sordi-no” è “Mi disordino” più… disordinata, con tempi mutevoli, accelerati/rallentati; “Cosa ne sarà di noi” è “Mani in alto”, con minime variazioni testuali; “Fuori uno” rimescola “Penelope” e anche “Fuori due”, ed è un bel pezzo vivace, rumoroso, di buona energia; infine, “Ancora di più” è un’elaborazione creativa di “(Tanto)3”, ultraelettronica e quasi dub.
Ecco, ci siamo ricascati. Quando esce un disco di Lorenzo scriviamo delle lenzuolate di parole. Sarà lui che ci contagia. Ma è un contagio anche benefico: come già mi è capitato di scrivere, non sono molti i dischi (e gli artisti) che ti danno tanti argomenti di cui parlare e tanta voglia di condividere le tue considerazioni. Con Lorenzo “Jovanotti” Cherubini succede spesso, e ne siamo contenti. E gliene siamo grati.
(Franco Zanetti)
TRACKLIST:
“(Tanto)3”
“Mi fido di te”
“Per me”
“Falla girare”
“Un buco nella tasca”
“Mani in alto”
“Penelope”
“Una storia d’amore”
“La valigia”
“La voglia di libertà”
“Coraggio”
“Bruto”
“Mi disordino”
zon@ venerdi
00sabato 31 dicembre 2005 04:23
Jovanotti ai ragazzi di Locri: "La politica siete voi"
Dialogo su mafia e coraggio: "Per fortuna date fastidio"
Aspettando il concerto gratuito del primo gennaio intervista al cantante: "Diffidate dei portavoce"
Il primo gennaio Jovanotti terrà un concerto gratuito a Locri. Abbiamo chiesto ai Ragazzi di Locri, che curano il blog su "Scuola & Giovani" di intervistarlo.
Sei sempre stato una sorta di simbolo per noi giovani, canti le speranze, i sogni, i dubbi, la rabbia di chi come noi manifesta, si impegna e cerca di migliorare una società della quale spesso non si sente di far parte. Pensi che ci sia una speranza di rompere il "muro di gomma"?
"Non è una questione di speranza, i muri di gomma sono di gomma e non si rompono ma si possono superare, e voi lo avete fatto. Il muro di gomma resterà lì ma voi avete dimostrato che si può superare, e questo esempio vale per chiunque. Io non so quanto la vostra lotta potrà servire a cambiare lo stato delle cose ma so che servirà a voi e a chi seguirà il vostro esempio. La vostra vita dal momento in cui vi siete alzati e avete fatto sentire la vostra voce è una vita più intensa, più ricca, voi avete già vinto riconoscendo quel muro di gomma, affrontandolo a viso aperto, scegliendo la strada della lotta in un mondo che non ama i lottatori ma 'premia' chi si allinea alle forze dominanti".
Ci siamo ribellati, è vero. Ma c'è il rischio che tutto quello che stiamo facendo non si concretizzi. Quanto secondo te le manifestazioni possono influire sulle decisioni prese dalla politica?
"La politica siete voi, l'unica politica che oggi ha senso è quella che state facendo voi, che è una politica delle emozioni. Voi non solo potete incidere sulle decisioni ma potete indicarle, pretenderle. Non domandatevi se la 'politica' vi risponderà, perché se non dovesse
rispondervi voi che farete? Penserete che allora hanno ragione i mafiosi? Una risposta voi la dovete pretendere, non solo sperare, e chi vi risponde deve farlo chiaramente e dirvi cosa ha in mente, quali progetti vuole realizzare, con chi, con quale tipo di trasparenza.
La ricchezza della vostra ribellione è nella sua assoluta vitalità, e i politici in genere (non tutti, molti però) non amano molto la vitalità, a meno che non trovino un modo di sfruttarla per ottenere qualche voto in più. la vostra 'ribellione' è una lezione per la politica del nostro paese. La battaglia in campo in questo momento è tra una cultura della violenza e del sopruso e una cultura dell'essere umano evoluto e in grado di costruire rapporti, di amare, di conoscere, di perseguire la giustizia e la libertà. Queste due visioni del mondo sono ben distribuite anche all'interno degli organi della politica, la stessa lotta che c'è nel vostro territorio c'è in parlamento, nel mercato, nell'industria, nella scienza, addirittura nelle religioni.
Voi date fastidio a un sacco di gente, anche a molti di quelli che oggi vi applaudono, questo lo sapete vero? Ma quello che state facendo è grande perché cresce dal seme più forte che si può piantare: il sacrificio della vita di qualcuno in nome di una causa giusta".
Nella tua ultima canzone "Mi fido di te" ci hai parlato della fiducia che deve intercorrere tra uomini. Cosa ti sentiresti di dire a chi in Calabria la fiducia l'ha persa da tempo nei confronti delle istituzioni?
"Io sono solo un artista popolare, non ho nessuna autorità per dire ai calabresi cosa fare, come non ce l'ho per dirlo a nessuno. La mia autorità è solo nell'ambito delle rime delle mie canzoni".
In questi giorni siamo stati al centro dell'interesse nazionale ma la nostra paura è quella di finire nel dimenticatoio. Come noi hai sempre combattuto in nome della legalità e dei diritti civili. Ti chiediamo di diventare a tutti gli effetti il nostro portavoce: te la senti?
"Mi chiedete una cosa che mi emoziona ma io non sarei un buon portavoce, e voi non avete bisogno di un portavoce, quello che state facendo lo riuscite a comunicare molto bene. Io mi sento vicino alla vostra lotta e vi ammiro molto e per me è un grande onore che mi abbiate invitato a suonare nella vostra terra. Anzi guardatevi bene dai portavoce per adesso, se posso darvi un consiglio, mantenetevi aperti come un vero e proprio 'forum' di discussione, una rete di
cuori e intelligenze e muovetevi seguendo il vostro senso di giustizia".
Tu, in molte delle tue canzoni hai affrontato temi difficili e problematiche che l'uomo, di qualsiasi parte del mondo si è trovato ad affrontare.
Pensi che proprio la musica possa aiutare a "smuovere le coscienze" e, nel nostro caso, possa contribuire all'allontanamento della mentalità mafiosa a favore della cultura della legalità?
"La musica arriva al cuore e per questo può succedere che una canzone o una melodia servano a darsi coraggio, a riconoscersi, a far affiorare forze nascoste. Ma anche i mafiosi ascoltano musica e ballano e fischiettano le canzoni che sentono alla radio quindi non bisogna responsabilizzare la musica o affidarle una esclusiva, la musica ha a che fare con tutto quello che è umano, gli impulsi, i sentimenti, lo spirito, la carne, il sesso, l'amore, la violenza, la politica, la vita, la morte... tutto. Se ci sono emozioni ci sarà una musica che le aiuterà a esplodere, se c'è una lotta per il bene ci sarà una musica che la sosterrà, e io sarò pronto a suonarla, se vorrete".
zon@ venerdi
00mercoledì 4 gennaio 2006 20:13
Ragazzi di Locri, meritate di più
«I ragazzi della Locride meritano la stessa qualità di concerti di New York, Roma e Milano. Volevo che i concerti a Cosenza e Locri fossero uno spettacolo vero. È stato un Capodanno bellissimo. Non lo dimenticherò». Così Jovanotti ripensa ai due show nelle piazze calabresi, l’ultimo dell’anno a Cosenza davanti a 50 mila ragazzi, domenica a Locri davanti a diecimila spettatori: due appuntamenti voluti dalle amministrazioni pubbliche e dal cantante ma nati, anche, sulla spinta dei ragazzi di Locri scesi per strada contro mafia, ’ndrangheta, malaffare e malcostume.
Sabato due ore di canzoni prima e molto dopo la mezzanotte nel capoluogo di provincia, domenica un altro lungo set nella cittadina dove, a ottobre, è stato assassinato Fortugno. Due serate all’aperto che hanno lasciato Lorenzo Cherubini senza voce, così questa l'intervista è stata fatta per posta elettronica.
Come hai vissuto questa esperienza calabrese e perché hai voluto farla?
L'ho vissuta in un crescendo di intensità. All'inizio era solo una lontana ipotesi difficile da realizzare, poi settimana dopo settimana le forze si sono unite, si sono trovati i fondi pubblici e gli entusiasmi istituzionali e quello che era un sogno (fare due grandi concerti in Calabria e in particolare uno a Locri) è diventato realtà. Quando se ne parlò fui subito molto contento, ho offerto totale disponibilità, l'unica cosa che ho preteso è che si trattasse di un vero concerto, una grande produzione. Ho preteso che chi avrebbe partecipato si trovasse di fronte ad un evento all'altezza di una situazione che oggi richiede il massimo dello sforzo. Doveva essere prima di tutto uno spettacolo che non rinunciasse a nulla di quello che serve per realizzare una grande festa rock. Non mi piace l'idea che alle cause «sociali» si riservino gli avanzi del mercato. I ragazzi della Locride meritano esattamente la stessa qualità dei ragazzi di Londra, New York, Roma, Tokio, Rio, Palermo, Milano, non so se mi spiego. È facile andare a Locri a fare presenza ottenendo qualche bell'articolo di giornale, ma senza lasciare un vero segno in chi ha partecipato. E un segno è fatto anche di watt, luci, supermusicisti.
I ragazzi di Locri chiedono che la cultura e lo spettacolo siano più presenti nel sud, avvertono la solitudine profonda del paese calabrese e della loro regione come un problema urgente nella loro battaglia contro la 'ndrangheta.
Hanno ragione. Voglio raccontarvi un piccolo episodio successo alla fine del concerto di Locri. Prima di scendere dal palco ho ringraziato la Regione, il sindaco ecc. ecc. e ho chiuso ringraziando il pubblico dicendo più o meno: «E grazie a voi che avete pagato con i vostri soldi la realizzazione di questo concerto... con i vostri soldi... perché questo concerto, il palco, le luci, le casse, i tecnici, la band sono stati pagati con i soldi pubblici e i soldi pubblici sono soldi vostri... Quindi fatevi un applauso». Ebbene, ci sono stati secondi di uno strano silenzio imbarazzante, credo dovuto al fatto che tra quei 50.000 ragazzi solamente in pochi conoscono la cosa più semplice del mondo, ovvero che i soldi pubblici sono loro e di nessun altro e la decisione di come usare il denaro pubblico può essere influenzata, in un sistema democratico.
Organizzare concerti al sud è più difficile, ma questi due show sono episodici oppure intendi essere più presente?
Organizzare concerti al sud è più difficile perché, essendoci meno «mercato», c'è bisogno di maggior intervento pubblico, ma la politica della promozione della cultura oggi dovrebbe essere al centro delle scelte in una tra le terre più ricche di cultura nell'intero pianeta. La Calabria è il grande paradosso del paese: bellissima, una percentuale di giovani più alta rispetto al nord, eppure quella regione resta fuori da molti circuiti... I ragazzi calabresi si sentono spesso lontani e abbandonati, meritano molto di più. La lotta alla mafia passa dalla promozione della cultura, intesa anche come cultura popolare, eventi di respiro ampio, in cui riconoscersi parte di un pianeta vivo e in connessione. Io amo suonare e amo farlo ancora di più se ho la sensazione che la musica contribuisca a mettere in moto certe cose. La Calabria ha bisogno di buoni amministratori perché questi ragazzi oggi li vogliono. Allora questi buoni amministratori se ci sono si facciano riconoscere, si espongano, accettino il rischio di dare ascolto ad una intera generazione di calabresi che vogliono cambiare! Se il concerto di Cosenza e quello di Locri resteranno fatti isolati sarà una scofitta.
Nel tuo sito www.soleluna.com un ragazzo manifesta la paura che la loro protesta sbatta contro il classico muro di gomma e che tutto quello che loro fanno resti per aria, non influisca sulla politica.
È una paura che capisco, quel ragazzo è già fortunato a farsi venire in mente un dubbio del genere. Moltissimi, troppi suoi coetanei la politica la vivono ancora come un nemico e basta, non ci provano nemmeno a farsi delle domande. La risposta spetta alla politica. Se la situazione è questa non è responsabilità dei ragazzi, ma dei politici che evidentemenete hanno qualche ragione per non coinvolgere i giovani o per coinvolgerli male e poi i ragazzi lo sentono se li stai fregando e ti voltano le spalle.
Si dice che la cultura, le arti, la musica, possono frenare il malcostume, formare la coscienza civile. È sempre vero oppure vale quando l'artista, come dire?, si mette in gioco anche su temi che non siano solo cuore e amore?
Non è una questione di «cuore amore», io non la vedo così. Oggi è una questione di apertura al mondo, e si può fare anche con cuore amore, non c'è bisogno che una canzone parli di politica, anzi a volte quel tipo di canzone lascia fuori un sacco di gente e parla solo a chi è già d’accordo (brutta storia, rischio alto di masturbazione mentale). Provo a spiegare con un esempio: il lavoro fatto in Puglia con la musica tradizionale (la notte della taranta, il recupero della pizzica) sta dando oggi frutti molto buoni perché chi ha promosso questa storia lo ha fatto cercando «links» con altri mondi, aprendosi. È un'operazione fatta sulle radici ma allo scopo di alimentare l'intera pianta, di allungare i rami. E oggi la pianta è sempre una pianta «globale». Il rock, il pop, l'hip hop, la canzone d'autore sono i linguaggi di oggi e rappresentano un oceano alimentato da un numero così alto di fiumi e torrenti che è oramai impossibile farne una mappa. Cuore amore vanno benissimo quando sono uno di questi torrenti, anche piccolo, vanno malissimo quando sono uno stagno, anche se si trattasse di uno stagno grande come un mare. A Locri e a Cosenza la mia ritmica newyorkese-brasiliana-parigina-italiana si è unita agli strumenti tradizionali dei Quartaumentata in una tarantella/funk dall'identità multipla ma che ha fatto impazzire tutti.
Sei in tour da qualche mese. Che percezione hai degli umori di chi viene a sentirti? Avverti cambiamenti, speranze, differenze rispetto a prima?
È difficile rispondere, ma ci proverò. Avverto la necessità di alzare la posta in gioco. Abbiamo di fronte un tempo in cui alcune certezze che avevano precedenti generazioni non ci sono più: prima tra tutte quella di un posto di lavoro fisso. Questo oggi crea molto disorientamento ma anche qualcosa di positivo: il futuro è tornato ad essere uno spazio aperto. Sembra terribile dopo anni in cui in molti hanno lottato perché il futuro avesse delle sicurezze, ma dobbiamo sforzarci di leggere l'aspetto positivo e la portata rivoluzionaria di questa nuova fase della storia e ho l'impressione che molti ragazzi la stiano interpretando con un certo entusiasmo. Sono solo sensazioni, non sono un sociologo, e me ne guardo bene, sono uno che fa canzoni.
Il 14 gennaio a Roma ci sarà una manifestazione per i Pacs, mentre il governo sta mettendo in discussione leggi come quella sull'aborto. Cosa ne pensi?
Penso che siamo in campagna elettorale... Bisogna stare molto attenti. L'unica risposta a tutto questo è che la sinistra vinca le elezioni e dimostri che può fare bene al paese, renderlo più libero, più bello, con più partecipazione, più unito, più solidale, più ricco. Innamorarsi, progettare la vita insieme (anche senza sposarsi in senso tradizionale), volere dei figli, contribuire alla costruzione di un paese che li accolga come un dono: questi sono tutti segni di una società sana che crede nel futuro.
Cosa ti aspetti dalla musica nel 2006?
La musica del mio tempo è entusiasmante come lo era la musica degli anni sessanta nei sessanta e quella dei settanta ecc. Il bello è attraverso la rete ogni musica è una musica di oggi, anche quella dei sessanta e dei settanta ecc., è questa la novità. Il disco come oggetto ha finito la sua corsa, oggi la musica è ovunque, è una grande sfida per gli artisti. I mezzi di produzione musicale oggi sono a portata di ogni tasca, la lotta non è più nel riuscire a «fare» un disco, ma nel fare musica che abbia qualcosa da dire.