Esiste una dignita della morte, come quella del dolore. Allevia, a noi che restiamo, quel vuoto che si faceva carne e sorriso, spingendo all’affetto e alla stima.
Lei se ne è andata, con i suoi umori, gli spessi malumori e quella voce che riempiva il cuore.
“A testa ci voli pi cantari, no a vuci”, mi disse l’ultima volta che l’avevo intervistata per il portale “Gay.it”. Ora Giuni Russo, continua ad esserci attraverso i suoi lavori discografici, a noi lascia il rimpianto di non assistere a nuove sfide con nuovi e geniali incontri con la musica.
La sicilianità di Giuni.
Nascere a Palermo è un dono, un po’ come tutte le città di mare e i luoghi dove il sole fatica ad andarsene. Giuni l’aveva nel volto e in quei grandi occhi la sicilianità. La sua Palermo, quella di sempre, combattuta tra costrizione mafiosa e enigma storico bellissimo. La desolazione del quartiere Kalsa fa a pugni con la straordinaria bellezza della Martorana, La Magione, lo stridio di voci che si levano giornalmente dal mercato della Vucciria. Ma questa è Palermo e Giuni se l’è tenuta sempre tra gli affetti più intimi.
“Penso spesso ai tempi in cui andavo in bicicletta a studiare canto, attraversando una città dai profumi speziati e dolci; i suoi giardini e le tante architetture arabeggianti. Volevo studiare pianoforte che oggi suono da autodidatta, come la chitarra e la tromba, grazie ad un regalo ricevuto da Louis Armstrong. Ma il canto è la mia vita, vivo per cantare”, mi disse una volta.
La musica era di casa nella famiglia Romeo (vero cognome di Giuni), la musica classica per eccellenza. E Giuni cominciò proprio a Palermo a raffinare quel grande talento naturale che Dio le aveva concesso.
Se le veniva concesso (ma lo faceva lo stesso), intercalava ad un italiano forbito e colmo di sicilianità, frasi in dialetto scritte su un sorriso illuminato dal suo amore per la città natìa.
La vita di Giuni: la musica!
Fu Pippo Baudo, uno degli storici presentatori televisivi a portare sul palco Giuni Russo e farla conoscere al pubblico canoro. La cantante vinse il concorso di voci nuove di Castrocaro e da lì raggiunse Sanremo dove presentò: “No amore”. Nel 1976 in duetto con Maria Antonietta Sisini, sua musa ispiratrice rimastale accanto fino alla fine, incise con una casa discografica tedesca “Love is a woman”, un brano tra nuove sperimentazioni e piacevoli sonorità jazzistiche.
Poi il successo con “Un’estate al mare” e il magico incontro, grazie ad Alberto Radius, con Franco Battiato, due sicilianità d’autore.
Scrivono e pubblicano “Energie”, nel 1983 pubblica “Vox” e nel 1987 “Album”, un lavoro discografico di facile ascolto dove la potente voce di Giuni fa venire brividi piacevoli. Canzonette? Niente è più sbagliato nel pensare Giuni in questi termini. Lei, con le case discografiche è in perenne lite e dissapori; cerca spazi e generi musicali che si confrontino con la sua geniale ugola e comincia a incontrare Donizetti, Verdi e Bellini nell’album “A casa di Ida Rubinstein”. Incontra la world-music pubblicando “Amala”.
I rapporti con le major discografiche non sono buoni. Lo spiega lei stessa: “Ho trovato dieci milioni di ostacoli. Qualcuno mi consigliava il silenzio ma ho subìto un vero attentato alla carriera. Quando non mi avete vista non era certamente perché non avevo pezzi da cantare, ma mi ponevano ostacoli da tutte le parti. Ho proposto e lavorato sulla ‘musica di confine’ con arie da camera, citazioni che spaziavano dal jazz al blues; un lavoro di cesello che lasciò perplessa la mia casa d’incisione”.
Lo scorso anno, già malata e in cura, corre a Sanremo con “Morirò d’amore” (anche se voleva cantare “Amore intenso”, altro titolo dell’album “Morirò d’amore”). Riceve il plauso del pubblico, un premio della critica e una buona vendita dell’album.
La spiritualità di Giuni e le Carmelitane.
Ad un certo tratto della sua vita, smesso di fare canzonette, Giuni intraprende un percorso spirituale: la donna si faceva delle domande. S’imbatte nei libri di Teresa D’Avila che le rapisce il cuore. E confessa: “Teresa D’Avila dice delle cose che solamente chi la legge può comprendere o anche Giovanni della Croce che cito nell’album. Resto una cantante e non uso la mia spiritualità a fini di business”.
Giuni e i gay.
Giuni Russo è stata amata dai gay, divenenedone un’icona. Lei era entusiasta di questo reciproco affetto; diceva che solo l’ignoranza allontanava la gente dagli omosessuali. Credeva nelle battaglie civili, lei che ne aveva portate a termine davvero tante non solamente con gli altri, ma anche con se stessa.
Il saluto estremo è stato dato a Giuni da una folla di amici e fans, al monastero delle Carmelitane Scalze a Milano. Due corone di candidi fiori portavano il saluto di Caterina Caselli e Donatella Rettore; la bara coperta da rose di un intenso color rosso. Riposerà, ospitata dalle sue sorelle Carmerlitane, nel cimitero maggiore di Milano.
Ciao Giuni.
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